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e fotodermatosi sono un gruppo di affezioni cutanee caratterizzate da fotosensibilità cioè da un’anomala reazione cutanea alla luce solare o a quella di sorgenti irradiative artificiali.
Le fotodermatosi vengono classificate in 4 categorie:
- Idiopatiche: in cui il fotosensibilizzante non è identificato , orticaria solare, eruzione polimorfa solare, dermatite attinica cronica, hydroa vaccini forme, eruzione primaverile giovanile, prurigo attinica;
- mediate o secondarie: dermatiti foto allergiche e fototossiche da contatto o sistemiche, luciti conseguenti a turbe metaboliche come pellagra o porfirie;
- foto aggravante: LES e LED, dermatomiosite, rosacea, pemfigo eritematoso, malattia di Darier, cloasma, herpes simplex, dermatite erpetiforme, granuloma anulare attinico;
- genofotodermatosi: dipendenti da carenze della fotoprotezione naturale: albinismo, xeroderma pigmentosum, sinfrome di Bloom, sindrome di Cokayne e sindrome di Rothmund-Thomson.
Le fotodermatosi colpiscono fino al 10 20% della popolazione mondiale e la localizzazione di tali dermatosi interessa almeno inizialmente le regioni fotoesposte, mentre sono risparmiate le zone protette dalla luce. Solo in seguito e in caso di elevata fotosensibilità, sono possibili estensioni anche a zone non fotoesposte.
Tali dermatosi sono reazioni mediate da un agente fotosensibilizzante esogeno o, più raramente, endogeno; in tale definizione rientrano le reazioni fototossiche e fotoallergiche. I meccanismi con cui si sviluppano le reazioni di fototossicità e fotoallergia sono diversi: la prima è assimilabile a una reazione irritativa primaria, senza partecipazione del sistema immunitario, la seconda è simile a una dermatite da contatto allergica, quindi mediata dalla partecipazione del sistema immunitario. Le principali differenze tra fotoallergie e fototossicità riguardano la patogenesi, le caratteristiche cliniche, l’incidenza, la dose di sostanza chimica coinvolta, l’intervallo tra esposizione e comparsa delle lesioni, mentre notevoli similitudini possono essere riscontrate dal punto di vista foto biologico, diagnostico e terapeutico; inoltre, poiché molte sostanze sono in grado di produrre entrambi i tipi di reazione, non è possibile fare una distinzione sulla sola base del quadro istologico e del tipo di sostanza chimica coinvolta.
Le reazioni fotochimiche a insorgenza acuta sono causate dall’azione tossica diretta di una sostanza modificata dalla luce. Esse si presentano con maggiore frequenza e con un tempo di incubazione molto inferiore rispetto alle reazioni fotoallergiche, e possono essere dovute ad agenti topici ma anche a sostanze introdotte nell’organismo per via sistemica. Hanno un alta incidenza e possono insorgere in qualsiasi persona, anche alla prima esposizione. Sono più sensibili le persone che presentano alterazioni congenite come l’incapacità alla rapida riparazione dei danni subiti dal DNA, dai lisosomi e dai polisaccaridi della membrana cellulare. La sede del danno è intracellulare e dipende dalla struttura chimica del composto fototossico in quanto essa ne condiziona la distribuzione all’interno delle cellule. Una certa importanza riveste anche la biodistribuzione delle fototossine: per via topica esse esercitano la loro azione sui cheratinociti, per via parenterale sono più tossiche sulle cellule endoteliali e dermiche. Inoltre le sostanze idrofiliche (sostanza in grado di stabilire legami di idrogeno, sono sostanze solubili in acqua), danneggiano maggiormente la membrana cellulare, quelle idrofobiche il citoplasma e i componenti nucleari. L’assorbimento dei fotoni porta la sostanza fototossica a uno stato “eccitato” ad alta energia (radicale libero) in grado di innescare meccanismi biochimici energetici responsabili del danno.
Come e dove si manifestano le fotodermatosi?
Le reazioni fototossiche sono tipicamente localizzate nelle sedi aventi subito l’applicazione del foto sensibilizzante, quali il viso, gli avambracci, il dorso di mani e piedi.
Queste reazioni possono manifestarsi anche al primo contatto con la sostanza fotosensibilizzante . In base alla risposta clinica si possono distinguere due tipi di reazione fototossica: uno ritardato, simile all’ustione solare e il cui prototipo è rappresentato dalla fotosensibilità alle furocumarine ( fotosensibilizzanti impiegati nel trattamento di psoriasi) e uno immediato caratterizzato da bruciore, eritema e edema. La reazione fototossica ritardata, simile al colpo di sole, si può avere per contatto o per assunzione sistemica della sostanza foto sensibilizzante. L’eritema e l’edema compaiono dopo 12-24 ore circa; la vescicolazione dopo 48 ore. Generalmente la regressione avviene dopo 1 o 2 settimane, ed è caratterizzata da lieve desquamazione e da una tipica iperpigmentazione residua.
La reazione immediata si ha con fotosensibilizzanti che hanno raggiunto la pelle per via sistemica. Subito dopo l’esposizione solare compaiono bruciore accompagnata da eritema ed edema.
Le reazioni fotoallergiche conseguono a una risposta immunologica ad antigeni prodotti nella cute per irradiazione della sostanza chimica o del farmaco foto sensibilizzante. Questo richiede perciò l’attivazione del sistema immunitario della persona, con un meccanismo che ricalca quella della dermatite allergica da contatto. È necessaria quindi una fase di sensibilizzazione in seguito all’applicazione locale della sostanza fotosensibilizzante, e poi una successiva fotoesposizione che scateni la reazione. Il tempo di latenza tra la fotoesposizione e la comparsa dei sintomi può essere più o meno lungo (diverse ore). Trattandosi di una reazione allergica, lo scatenamento è indipendente sia dalla quantità di fotoallergizante applicata, sia dalla dose dei raggi UV.
Le reazioni fortoallergiche dipendono dalla reattività immunologica dei diversi individui e hanno un’incidenza minore rispetto alle reazioni fototossiche. Le lesioni possono persistere anche dopo il periodo di acutizzazione.
La diagnosi di fotoallergia si effettua con fotopatch-test e fototest sistemici.
Come combattere la fotosensibilità?
I trattamenti per combattere la fotosensibilità possono essere tre:
- ridurre al massimo l’esposizione solare: abbigliamento adeguato, occhiali da sole, filtri solari con una protezione guidata dai risultati delle indagini fotobiologiche e applicati in modo corretto;
- aumentare la tolleranza del soggetto con cicli di fototerapia;
- trattare i sintomi quando le misure di prevenzione non sono state sufficienti.
Per combattere le fotodermatosi l’ideale sarebbe eliminare la fotoesposizione ma siccome è impossibile, la fotoprotezione assume un ruolo importantissimo!!! In tutte le fotodermatosi si assiste ad un miglioramento quando il soggetto non si espone alla luce solare o artificiale e in particolare alla banda spettrale responsabile della specifica fotodermatosi. In alcuni casi di fotodermatosi indotte da UVA è necessario l’utilizzo di speciali filtri applicati ai vetri di casa, dell’auto e delle lampade per illuminazione in quanto queste bande non vengono filtrate dai vetri. I filtri solari con schermatura completa dell’intero spettro, applicati in maniera corretta ( frequenza, dose e sedi) si sono rivelati in grado di prevenire la dermatite polimorfa solare nel 90% dei casi in uno studio clinico su 45 pazienti.